Telegram, Pavel Durov aggiorna la privacy policy
Un mese dopo essere stato arrestato a Parigi, Pavel Durov continua a far parlare di sé.
Le accuse della magistratura francese e la reazione di Durov
L’indagine entro cui è avvenuto l’arresto riguarda una serie di reati commessi via Telegram, la piattaforma di messaggistica istantanea di cui l’imprenditore russo è fondatore e CEO.
Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti spiccano il traffico di stupefacenti e la diffusione di materiale pedopornografico. Per Durov, che si è visto contestare ben dodici capi d’imputazione, il coinvolgimento nell’inchiesta deriva da una mancata collaborazione con le autorità che avrebbe reso più difficile individuare gli autori materiali di tali reati.
Si tratta del primo caso – almeno nel mondo occidentale – in cui le autorità scelgono di perseguire il responsabile di una piattaforma per i contenuti illeciti pubblicati su di essa: un parziale precedente si può riscontrare nella storia personale dello stesso Durov, che già nel 2014 entrò in conflitto con il Cremlino per essersi rifiutato di rivelare i dati relativi ad alcuni utenti anti-governativi attivi sul social VK.
Il 5 settembre, Durov aveva condiviso sul proprio canale Telegram la sua versione dei fatti.
Pur ribadendo come esistessero da sempre dei meccanismi di moderazione dei contenuti, il messaggio anticipava l’intento di modificare le policy per agevolare lo scambio di informazioni con le autorità inquirenti e prometteva di aggiornare quanto prima gli utenti sul processo in corso, finalizzato a rendere “safer and stronger” non solo i servizi forniti da Telegram ma l’intera industria dei social network.
Appena due settimane dopo, il medesimo canale ha diffuso la seguente comunicazione:
“La ricerca su Telegram è più potente rispetto ad altre app di messaggistica perché permette agli utenti di trovare canali pubblici e bot. Sfortunatamente, questa funzionalità è stata oggetto di abuso da parte di persone che hanno violato i nostri Termini di Servizio per vendere beni illegali.
Nelle ultime settimane un team dedicato di moderatori, utilizzando l’AI, ha reso la ricerca su Telegram molto più sicura. Tutti i contenuti problematici identificati nella ricerca non sono più accessibili. Se riesci ancora a trovare qualcosa di pericoloso o illegale nella ricerca su Telegram, segnalalo tramite @SearchReport.
Per scoraggiare ulteriormente i criminali dall’abuso della ricerca su Telegram, abbiamo aggiornato i nostri Termini di servizio e l’Informativa sulla privacy, assicurandoci che siano coerenti in tutto il mondo. Abbiamo reso chiaro che gli indirizzi IP e i numeri di telefono di coloro che violano le nostre regole potranno essere divulgati alle autorità competenti in risposta a valide richieste legali.
Queste misure dovrebbero scoraggiare i criminali. La ricerca su Telegram è pensata per trovare amici e tenersi aggiornati, non per promuovere beni illegali. Non permetteremo che dei malintenzionati [“bad actors”] mettano a rischio l’integrità della nostra piattaforma per quasi un miliardo di utenti”.
La nuova privacy policy di Telegram
Oltre a prevedere l’implementazione di meccanismi di moderazione più stringenti e la possibilità di segnalare a un apposito canale automatizzato eventuali contenuti illegali, le modifiche in atto implicano che d’ora in poi indirizzi IP e numeri di telefono degli utenti potranno essere trasmessi alle pubbliche autorità “in response to valid legal requests”.
A partire da questo aggiornamento, quindi, Telegram cambierà in modo sostanziale.
Resta da vedere come verranno attuate tali promesse e se verrà eliminata la possibilità di utilizzare l’app tramite indirizzi email temporanei o numeri di telefono virtuali, che consentirebbe di aggirare i limiti dei ToS.
Le nuove impostazioni segnano comunque un passo indietro in termini di tutela della privacy: un autentico cambio di rotta per Durov, il quale sin dagli inizi della sua ascesa imprenditoriale rivendica la difesa della riservatezza e dell’anonimato come cifra distintiva dei propri servizi.
Se in seguito alla notizia dell’arresto si era molto discusso delle possibili conseguenze sulla gestione dell’app di messaggistica, nonché sull’ecosistema dei social media in generale, oggi l’aggiornamento della privacy policy di Telegram conferma che i gestori delle piattaforme sono chiamati – volenti o nolenti – ad adattare i propri Termini di Servizio a politiche e normative che non considerano più gli ambienti digitali come “zona franca”, imponendo talvolta di sacrificare la privacy in nome della sicurezza.