Telegram, arrestato Pavel Durov

Arrestato a Parigi il CEO di Telegram: cosa significa in termini di responsabilità delle piattaforme social?

La notizia dell’arresto di Pavel Durov, il visionario fondatore dell’app di messaggistica Telegram, in queste ore sta facendo il giro del mondo.

Cosa si sa dell’indagine

Durov, nato in Russia ma residente a Dubai – dove attualmente Telegram ha la sua sede legale – e con duplice cittadinanza francese ed emiratina, era di passaggio in Francia con il suo jet privato.

L’arresto è stato eseguito dalla Gendarmeria aeroportuale nella serata di sabato 24 agosto, presso l’aeroporto parigino di Le Bourget, in forza di un mandato emesso dalla Direzione nazionale della polizia giudiziaria francese.

Questa misura farebbe parte di un’indagine preliminare tesa a far luce sull’utilizzo di Telegram in una vasta serie di reati: le ipotesi perseguite includono l’apologia di terrorismo, lo spaccio di sostanze stupefacenti e la diffusione non consensuale di materiale intimo, anche riguardante persone minorenni.

I “precedenti” di Durov

Convinto sostenitore della libertà di parola sul web, già in passato Durov si era trovato nel mirino delle forze dell’ordine, fino a dover lasciare la Russia nel 2014 dopo essersi rifiutato di fornire al governo i dati dei dissidenti politici attivi sulla piattaforma social VK, fondata nel 2006 assieme al fratello Nikolaj.

In seguito all’arresto l’ambasciata russa a Parigi ha dichiarato di avere “chiesto alle autorità francesi di spiegare le ragioni della sua detenzione […], che i suoi diritti siano protetti e che gli sia concesso l’accesso consolare”. Davanti al consolato francese di Ventimiglia, invece, sarebbe comparso uno striscione che recita “Pavel Durov è un detenuto politico come Julian Assange, liberatelo!”

Anche oggi – secondo quanto riportato dai media francesi – le accuse riguarderebbero la mancata disponibilità a collaborare con gli inquirenti. Ma a rilevare sono soprattutto la mancanza di moderazione sui contenuti scambiati via Telegram e la centralità attribuita alla riservatezza delle conversazioni: l’app implementa da sempre la crittografia E2E a protezione delle chat e nelle ultime versioni permette anche di utilizzare numeri “usa e getta”, così consentendo il parziale anonimato degli utenti e ostacolando l’individuazione degli autori di illeciti.

Le conseguenze dell’inchiesta francese

Queste caratteristiche avrebbero portato la magistratura di Parigi a perseguire il fondatore e CEO di Telegram per una presunta responsabilità indiretta rispetto ai crimini commessi tramite la piattaforma, che oggi conta un miliardo di profili attivi in tutto il pianeta.

Del resto tutte le ultime previsioni normative comunitarie, dal Digital Services Act alla Direttiva NIS2, impongono ai fornitori di servizi web responsabilità più stringenti in termini di moderazione dei contenuti e cooperazione con le autorità inquirenti.

Nella medesima direzione sembra voler andare il Trattato ONU sul cybercrime, criticato dalle organizzazioni per i diritti digitali proprio perché rischierebbe, in nome della prevenzione dei reati commessi online, di autorizzare varie forme di controllo e censura.

Resta allora da capire se (e come) l’inchiesta francese potrà rappresentare un precedente per simili operazioni giudiziarie: in caso positivo si può prevedere un inasprimento del conflitto tra privacy e sicurezza, in cui l’arresto di Durov potrebbe essere il primo di una lunga serie.

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