A fine agosto ha fatto molto scalpore la notizia dell’arresto di Pavel Durov, fondatore e CEO di Telegram.
Nata nel 2013, l’app di messaggistica è oggi la seconda più utilizzata al mondo con 950 milioni di profili attivi (la prima, con oltre 2 miliardi di utenti, rimane per ora Whatsapp).
Data la notorietà del suo protagonista – incluso da Forbes tra le 150 persone più ricche del pianeta – la vicenda ha suscitato pareri discordanti e accese valutazioni.
A far discutere sono le potenziali ricadute rispetto alla responsabilità delle piattaforme per i contenuti pubblicati, soprattutto alla luce delle nuove previsioni comunitarie in materia, come quelle previste dal Digital Service Act o DSA.
Sebbene sia stato rilasciato su cauzione pochi giorni dopo, Durov è tuttora indagato per 12 capi di imputazione, tra cui il possesso e la distribuzione di materiale pedopornografico rinvenuto su diversi canali Telegram; di conseguenza, si è visto imporre il divieto di lasciare il territorio francese fino al termine dell’indagine.
Il 5 settembre ulteriori aggiornamenti sono stati condivisi proprio su Telegram tramite il Du Rove’s Channel, che conta quasi 13 milioni di iscritti.
Dopo aver ringraziato per il supporto ricevuto, Durov ha riferito di essere stato interrogato per 4 giorni dalla polizia parigina in merito alla sua possibile responsabilità “for other people’s illegal use of Telegram”, nonché per le mancate risposte conseguenti alle richieste formulate dalle autorità francesi.
Ciò viene definito “sorprendente” per diverse ragioni:
Il messaggio prosegue evidenziando la difficoltà di individuare il giusto equilibrio tra privacy e sicurezza e la necessità di conciliare le regole in tema di privacy con le richieste delle forze dell’ordine, nonché le leggi locali con le normative UE.
Rispetto ai limiti tecnologici ed etici (“As a platform you want your processes to be consistent globally, while also ensuring they are not abused in countries with weak rule of law”), si assicura di aver sempre provato a dialogare con le autorità alla ricerca dei necessari compromessi.
Tuttavia, prosegue Durov, “We stand by our principles: our experience is shaped by our mission to protect our users in authoritarian regimes”.
Si afferma altresì di non poter concordare con ogni scelta nazionale circa il suddetto equilibrio privacy/sicurezza, ricordando come in diversi casi Telegram abbia scelto di abbandonare il Paese in questione: “When Russia demanded we hand over encryption keys to enable surveillance, we refused — and Telegram got banned in Russia. When Iran demanded we block channels of peaceful protesters, we refused — and Telegram got banned in Iran […] We are driven by the intention to bring good and defend the basic rights of people, particularly in places where these rights are violated”.
Dopo aver ribadito che Telegram non è un servizio perfetto e che restano molte cose – tra cui proprio il dialogo con le autorità – da migliorare, nella comunicazione si sottolinea come esistano già dei meccanismi di moderazione sui contenuti pubblicati.
Al riguardo, infatti, si afferma: “The claims in some media that Telegram is some sort of anarchic paradise are absolutely untrue. We take down millions of harmful posts and channels every day. We publish daily transparency reports [and] We have direct hotlines with NGOs to process urgent moderation requests faster”.
Rispetto al futuro, il CEO promette di ascoltare chi ritiene insufficienti gli attuali meccanismi di moderazione e dichiara d’essersi posto il personale obiettivo di migliorarli significativamente (“We’ve already started that process internally, and I will share more details on our progress with you very soon”).
A pesare sulla recente gestione della piattaforma sarebbe stato anche l’improvviso aumento degli iscritti, che ha complicato il monitoraggio dei contenuti rendendo più semplice il verificarsi di illeciti o di abusi.
In conclusione si esprime la speranza che le attuali vicissitudini possano rendere la piattaforma – nonché l’intera industria dei social network – “safer and stronger”.
Nella stessa direzione sembrano andare gli annunci di nuove funzionalità e le dichiarazioni formulate su X (già Twitter) dove pochi giorni fa, celebrando il traguardo dei 10 milioni di iscritti a Telegram Premium, Durov ha affermato: “Per quanto il 99,999% degli utenti non abbia nulla a che fare con la criminalità lo 0,001% coinvolto in attività illecite crea una cattiva immagine per l’intera piattaforma, mettendo a rischio gli interessi del nostro quasi miliardo di utenti. Ecco perché quest’anno ci siamo impegnati a far sì che la moderazione su Telegram, da oggetto di critica, diventi motivo di elogio”.
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