CISO analizzando dashboard di KPI di cybersecurity con il team dirigenziale, valutando metriche critiche come MTTR e percentuali di patching per ottimizzare la strategia di sicurezza informatica aziendale

Misurare l’efficacia della cybersecurity: KPI per il CISO

In un’epoca in cui le minacce informatiche si evolvono più velocemente delle difese, il ruolo del CISO (Chief Information Security Officer) è diventato centrale per garantire la resilienza digitale dell’organizzazione. Tuttavia, garantire la protezione informatica non significa solo implementare soluzioni tecniche, ma anche misurarne l’efficacia in modo sistematico. Ed è qui che entrano in gioco i KPI della cybersecurity: indicatori chiave di performance che aiutano a valutare, comunicare e migliorare continuamente lo stato della sicurezza digitale.

Indicatori chiave di performance (KPI) per valutare la sicurezza IT

Uno dei compiti principali del CISO è trasformare dati complessi e tecnici in informazioni strategiche utili per il business. I KPI (Key Performance Indicators) rappresentano uno strumento essenziale per raggiungere questo obiettivo. In ambito operativo, fungono da ponte comunicativo tra i team tecnici e i dirigenti aziendali. Più che semplici numeri, sono strumenti di governance che trasformano dati tecnici complessi in informazioni accessibili e rilevanti per il business.

Questo consente di prendere decisioni strategiche fondate su dati concreti, superando approcci basati su impressioni o valutazioni soggettive. Gli indicatori chiave di prestazione della Cybersecurity aiuteranno inoltre i CISO a confrontare gli standard del settore e a comprendere le aree critiche di miglioramento.

Ma cosa rende davvero efficace un KPI nel contesto della sicurezza informatica?

Un indicatore chiave deve essere misurabile, rilevante e tempestivo. Non serve monitorare centinaia di parametri se questi non aiutano a prendere decisioni. Gli indicatori di cybersecurity più efficaci sono quelli che forniscono una fotografia chiara delle vulnerabilità, della postura di difesa e della capacità di risposta dell’organizzazione.

Ad esempio, tra i più utilizzati dai CISO troviamo il tempo medio di rilevamento (MTTD), il tempo medio di risposta (MTTR) e il tempo medio di applicazione della Patch (MTTP) agli incidenti di sicurezza. Più questi valori sono bassi, maggiore è la capacità dell’organizzazione di contenere un attacco prima che si trasformi in una violazione significativa.

Il MTTR è una metrica fondamentale per misurare la prontezza dell’organizzazione nel risolvere le criticità identificate. Viene solitamente suddivisa in base al livello di gravità – alta, media o bassa – per offrire una visione più dettagliata delle priorità operative.

Diversamente dal MTTP (Mean Time to Patch), il MTTR tiene conto di tutti i metodi utilizzati per mitigare una criticità, non solo l’applicazione di patch. Ad esempio, la disattivazione di un servizio, l’isolamento di un asset o l’adozione di workaround temporanei vengono considerati nel calcolo. Per le vulnerabilità software, la tempistica include anche eventuali riavvii di sistema e la verifica post-risoluzione per assicurarsi che la correzione sia stata efficace, spesso accompagnata da fasi di test e validazione.

Impatto sulla sicurezza informatica

Migliorare questo indicatore significa accorciare il periodo in cui una fragilità può essere attivamente sfruttata da attori malevoli, riducendo così il rischio potenziale per l’intera infrastruttura IT.

Valore per l’organizzazione

Dal punto di vista aziendale, una riduzione del MTTR si traduce in una minore probabilità di danni come fughe di dati, blocchi operativi o interruzioni non pianificate. Inoltre, un MTTR contenuto contribuisce al rispetto dei tempi richiesti dalle attività di audit e conformità normativa, con cadenze di verifica trimestrali o annuali a seconda delle policy interne e degli standard di settore.

Il MTTP (Mean Time to Patch) misura invece quanto rapidamente un’organizzazione riesce a distribuire le patch di sicurezza per le vulnerabilità considerate critiche, in particolare quelle già note per essere oggetto di attacchi attivi. Si tratta di una metrica cruciale per valutare l’efficienza dei processi di risposta e aggiornamento.

Benefici in termini di sicurezza informatica

Ridurre il MTTP significa diminuire la finestra temporale durante la quale le criticità ad alto rischio restano esposte agli attacchi. Intervenire tempestivamente è essenziale per prevenire compromissioni su larga scala o accessi non autorizzati ai sistemi aziendali.

Implicazioni per il business

Un MTTP più contenuto contribuisce a limitare le interruzioni operative causate dallo sfruttamento di falle critiche, proteggendo la continuità dei servizi e riducendo i potenziali danni economici. Il monitoraggio regolare, su base mensile o trimestrale, consente inoltre di verificare i progressi e identificare eventuali colli di bottiglia nei flussi di gestione delle patch.

Il MTTD (Mean Time to Detect) indica invece il tempo medio che intercorre tra l’inizio di un incidente di sicurezza (come una violazione, un attacco o una compromissione) e il momento in cui viene effettivamente rilevato dal team di protezione o dagli strumenti di monitoraggio.

Un MTTD basso è sintomo di una buona capacità di monitoraggio e rilevamento: significa che l’organizzazione riesce a identificare rapidamente le minacce, riducendo il tempo in cui gli aggressori possono muoversi indisturbati nella rete.

Viceversa, un MTTD elevato può indicare che l’organizzazione ha problemi nel rilevamento tempestivo, aumentando il rischio di danni più estesi.

Un altro KPI fondamentale è il tasso di patching delle vulnerabilità critiche. Questo indicatore misura quanto velocemente l’IT riesce ad applicare aggiornamenti di protezione, soprattutto in presenza di fragilità note. La mancata applicazione tempestiva delle patch è una delle principali cause di attacchi ransomware riusciti.

Più precisamente è la percentuale di vulnerabilità critiche che sono state corrette (patchate) entro un determinato periodo di tempo, rispetto al totale rilevato.

Esempio:

Se hai identificato 100 fragilità critiche e ne hai corrette 85 entro il periodo definito dagli SLA, il tuo Critical Patch Rate è dell’85%.

Tuttavia, è importante non fermarsi alla semplice copertura numerica. Bisogna approfondire: quanti di questi asset sono sottoposti a scansioni autenticate, rispetto a quelle non autenticate? Con quale frequenza vengono aggiornate le informazioni relative alle criticità identificate?

Sono tutti quesiti utili che consentono al Chief Information Security Officer di valutare l’affidabilità e la completezza del programma di vulnerability management, identificando eventuali zone d’ombra nell’infrastruttura e ottimizzando la strategia di scansione in base al rischio reale. Queste informazioni, infatti, gli permettono di capire dove concentrare gli sforzi, migliorare la copertura, ridurre i falsi negativi e garantire che le decisioni siano prese su dati accurati e aggiornati.

Impatto sulla sicurezza informatica

Un miglioramento della copertura e della qualità delle valutazioni consente di ottenere una maggiore visibilità su problemi quali CVE (Common Vulnerabilities and Exposures), errori di configurazione, uso di password non sicure o riutilizzate, algoritmi di crittografia obsoleti e criticità nei controlli di accesso.

Valore per il business

Mappare le ciriticità sugli asset permette anche di identificarne la distribuzione per area funzionale, sede geografica, tipo di infrastruttura o business unit, consentendo un’analisi dettagliata del rischio informatico a livello aziendale.

Implicazioni operative per l’organizzazione

Dal punto di vista aziendale, un’efficace gestione dei tempi di risposta può ridurre drasticamente il pericolo di interruzioni operative dovute allo sfruttamento di falle nella sicurezza, contribuendo a mantenere continuità e affidabilità nei processi aziendali. La misurazione può essere condotta su base mensile o trimestrale, in base alla maturità dell’organizzazione.

La gestione delle vulnerabilità costituisce la prima linea di difesa contro gli attacchi informatici. I KPI relativi a quest’area dovrebbero essere suddivisi in base alla gravità secondo il sistema CVSS (Common Vulnerability Scoring System) e valutati tenendo conto del reale livello di esposizione all’interno dell’ambiente operativo.

Inoltre, è utile tenere sotto osservazione il numero di sistemi non conformi alle policy di protezione aziendale. Questo KPI aiuta il CISO a capire se ci sono aree dell’infrastruttura IT che rappresentano un rischio elevato a causa di configurazioni errate, software obsoleto o mancato aggiornamento delle policy.

Per ogni indicatore, i Chief Information Security Officer dovrebbero definire degli SLA (Service Level Agreements) che riflettano le specifiche necessità dell’organizzazione, tenendo conto sia del livello attuale di maturità della sicurezza informatica sia delle priorità strategiche da raggiungere nel medio-lungo termine.

Misurare l’efficacia della protezione IT non significa però solo contare gli incidenti. È importante monitorare anche le attività preventive, come le ore di formazione completate dal personale in ambito security, o la frequenza dei test di phishing simulato. Questi dati contribuiscono a valutare la maturità della cultura della sicurezza in azienda, un fattore spesso trascurato ma decisivo.

Il controllo costante di questi indicatori consente ai CISO di dialogare in modo più efficace con il Consiglio di amministrazione. Offrire una visione chiara e dettagliata dei principali KPI permette non solo di giustificare richieste di budget, ma anche di orientare al meglio l’impiego delle risorse disponibili.

Metriche per monitorare gli incidenti di sicurezza nel tempo

Un buon programma di cybersecurity non può prescindere da un’attenta osservazione dell’evoluzione degli incidenti di sicurezza nel tempo. Le metriche temporali consentono al Chief Information Security Officer non solo di reagire, ma di prevedere e prevenire.

Monitorare il numero totale di eventi di sicurezza per mese o trimestre permette di individuare trend ricorrenti e stagionalità, ma è ancora più utile scomporre questi eventi per tipologia. Ad esempio, distinguere tra eventi causati da malware, phishing, accessi non autorizzati o insider threat aiuta a calibrare meglio le contromisure.

La gravità media degli incidenti è un altro parametro cruciale. Se il numero di eventi rimane costante ma la loro gravità aumenta, significa che gli attaccanti stanno diventando più sofisticati o che i sistemi difensivi non evolvono abbastanza rapidamente.

Nel monitoraggio degli eventi, è fondamentale includere anche il tempo di inattività generato da ciascun attacco. Questo KPI, spesso misurato in ore o giorni, ha un impatto diretto sulla produttività aziendale e può essere tradotto facilmente in perdite economiche, facilitando la comunicazione con il top management.

Qual è l’impatto economico complessivo di un incidente di sicurezza per l’organizzazione? Questo valore è superiore o inferiore rispetto alla media del settore? La risposta a queste domande aiuta i CISO a comprendere se le strategie adottate sono efficaci o se è necessario intervenire per ottimizzare i costi e migliorare la resilienza complessiva.

Anche la percentuale di incidenti risolti internamente rispetto a quelli che richiedono supporto esterno offre spunti interessanti. Un’organizzazione in grado di gestire autonomamente la maggior parte delle minacce è solitamente più resiliente e più preparata.

Infine, confrontare periodicamente questi dati con quelli di settori simili – attraverso benchmark di settore – può aiutare a capire se l’azienda è più o meno esposta rispetto ai concorrenti, e dove è possibile migliorare.

Analisi dei dati per migliorare le strategie di sicurezza

La semplice raccolta di dati non basta: è l’analisi intelligente dei KPI a fare la differenza. Il CISO moderno deve saper trasformare numeri in insight operativi, identificando pattern, correlazioni e anomalie che potrebbero passare inosservate in una visione puramente reattiva.

Grazie all’uso di dashboard dinamiche, strumenti di SIEM (Security Information and Event Management) e piattaforme di analytics, oggi è possibile aggregare grandi volumi di dati da fonti diverse e identificare in tempo reale minacce latenti, gap di copertura o inefficienze nel piano di risposta agli incidenti.

Ad esempio, un improvviso aumento degli alert provenienti da una specifica regione geografica o da un determinato endpoint potrebbe indicare un attacco mirato in corso. Oppure, analizzando i log di accesso, è possibile scoprire comportamenti anomali da parte di utenti legittimi che potrebbero nascondere un tentativo di compromissione interna.

Gli strumenti di SIEM, in particolare, sono in grado di monitorare e raccogliere eventi di sicurezza in tempo reale, consentendo ai team di difesa di rispondere rapidamente a qualsiasi anomalia. La capacità di integrare e correlare eventi provenienti da diverse fonti è uno degli aspetti più potenti di queste soluzioni, poiché permette di identificare minacce complesse che potrebbero passare inosservate se monitorate separatamente.

Ma l’analisi dei KPI serve anche per ottimizzare gli investimenti. Monitorando la correlazione tra spesa in protezione e riduzione degli incidenti, il CISO può dimostrare l’efficacia delle strategie adottate e indirizzare meglio il budget, concentrandosi sulle aree a maggior rischio o minor rendimento.

Se, ad esempio, si nota che nonostante l’investimento significativo in una determinata area di sicurezza, gli eventi continuano ad aumentare, il Chief Information Security Officer potrebbe decidere di rivedere la strategia adottata o ridistribuire i fondi verso aree che offrono un migliore ritorno sugli investimenti. L’analisi dei dati, quindi, non solo aiuta a rilevare minacce, ma anche a ottimizzare l’uso delle risorse disponibili.

Un’altra applicazione strategica dell’analisi dati è nella valutazione della readiness aziendale ai nuovi scenari normativi. Ad esempio, in vista dell’adeguamento a normative come il GDPR o la Direttiva NIS2, è utile misurare il livello di conformità attuale e l’impatto potenziale in caso di audit o violazione.

In vista di nuovi regolamenti, l’analisi dei dati può anche suggerire le aree in cui l’azienda ha bisogno di migliorare per essere pronta agli audit. Inoltre, i KPI relativi alla protezione dei dati possono aiutare a identificare e correggere le lacune prima che si verifichi una violazione, evitando così multe significative o danni reputazionali.

In questo contesto, l’adozione di approcci basati su cyber threat intelligence e su modelli predittivi può aumentare ulteriormente la capacità del CISO di anticipare gli attacchi e rafforzare le difese prima che sia troppo tardi.

Reportistica regolare al CDA sui risultati ottenuti

Un ultimo, ma fondamentale aspetto del lavoro del Chief Information Security Officer riguarda la comunicazione verso il Consiglio di amministrazione (CDA). La cybersecurity è ormai una priorità strategica, ma per essere percepita come tale dai vertici aziendali, deve essere comunicata in modo chiaro, misurabile e orientato al rischio.

I KPI svolgono in questo contesto un doppio ruolo: da un lato aiutano il Chief Information Security Officer a raccontare i risultati raggiunti, dall’altro rappresentano una base solida per chiedere ulteriori investimenti o ridefinire le priorità.

La reportistica verso il CDA dovrebbe evitare il linguaggio troppo tecnico e concentrarsi su metriche orientate al business, come la riduzione del rischio, l’impatto economico evitato grazie a specifici interventi, o la conformità alle normative. In questo modo, la sicurezza informatica viene percepita non come un costo, ma come un elemento abilitante del successo aziendale.

È utile che i report includano anche valutazioni qualitative, come il livello di maturità del programma di protezione o la posizione dell’azienda rispetto al benchmark di settore. In molti casi, può essere efficace accompagnare i KPI numerici con visualizzazioni intuitive, come grafici a barre, mappe di calore o scorecard, che rendono immediato il messaggio per un pubblico non tecnico.

Una buona prassi è quella di definire una cadenza regolare di reporting, ad esempio trimestrale o semestrale, per fornire aggiornamenti continui e mantenere alta l’attenzione su eventuali nuove priorità. Il coinvolgimento del CDA in questo processo aiuta anche a rafforzare la cultura della sicurezza a livello organizzativo, rendendo più facile l’implementazione di policy e controlli.

Infine, il reporting basato su indicatori chiave consente di creare una narrazione coerente che collega le attività operative alla missione e alla visione aziendale, facilitando l’allineamento tra IT e business.

Conclusioni

Misurare l’efficacia della Cybersecurity attraverso KPI mirati non è solo un’esigenza tecnica, ma una necessità strategica. Per il CISO moderno, il valore della protezione informatica si gioca sulla capacità di prevenire, rilevare, rispondere e soprattutto comunicare.

Attraverso un set di indicatori ben strutturato, può prendere decisioni più consapevoli, proteggere meglio gli asset aziendali, e dimostrare con trasparenza il valore aggiunto del proprio operato. In un contesto sempre più regolamentato e competitivo, disporre di una metrica chiara per la sicurezza informatica rappresenta un vantaggio competitivo concreto, oltre che una garanzia per la continuità operativa.

In definitiva, la cybersecurity non è solo una questione di tecnologie, ma di metriche, cultura e strategia. E i KPI rappresentano il collegamento tra questi tre elementi.

 

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