L’hacking è un percorso, non una destinazione
La parola Hacking deriva dal verbo inglese “to hack”, che significa “intaccare”.
La storia dell’hacking inizia da molto lontano, nei sotterranei dell’edificio 26 del MIT (Massachusetts Institute of Technology), precisamente nel 1958 presso il Tech Model Railroad Club, da appassionati di modellismo ferroviario.
Il club gestiva una sofisticatissima ferrovia in miniatura, ed era drasticamente diviso in due fazioni:
- la prima fazione era denominata “knife-and-paintbrush” letteralmente “coltello e pennello”. Passavano la maggior parte del loro tempo a ricreare modelli di vagoni ferroviari da anni scomparsi oppure costruzioni e paesaggi, oltre a leggere riviste e a viaggiare lunego le vecchie linee ferroviarie;
- la seconda fazione si chiamava “Signal-and-Power” ovvero “segnali e corrente”. Questa fazione era più interessata a quello che succedeva sotto il complesso layout, quindi studiavano le tecnologie per la costruzione della rete elettrica che governava gli scambi dei trenini, che chiamavano “the system”.
Il sistema era costantemente migliorato, rinnovato, perfezionato e talvolta -nel gergo tecnico del club –“gronked”, che voleva dire rovinato. Tale gergo gettò le basi per quello che, qualche anno dopo, divenne il famoso Jargon File, quella miniera di storia, usanze e termini della cultura Hacker dove (a parte le tante parole conosciute) troviamo raffinate collezioni del famoso umorismo fatalista hacker, altamente saporito, che colpisce sempre nel segno di giovani, vecchi e bambini.
Le matricole collaboravano con i membri anziani e tutte erano persone brillanti, intelligenti, i “primi della classe”, rigorosamente vestiti con camicia a maniche corte a scacchi, pantaloni color kaki e una bottiglia di coca cola tra le mani.
Ma la cosa più importante era lavorare assieme o in prima persona su un progetto, sbagliare per poi riprovare e apprendere costantemente dai propri errori.
Questo, a loro pensiero, era l’unico modo per progredire nella conoscenza e guardate oltre, sempre avanti. Ma non si trattava di un gruppo di svitati.
Pensate che, quando parlavano tra di loro, gli altri non riuscivano minimamente a comprendere quello che dicevano… erano ragazzi che persero la testa prima per i trenini e, poi, per l’informatica.
C’erano anche dei membri particolari: c’era un certo Morton, che piombava di colpo in stato catatonico. I suoi pugni si chiudevano improvvisamente, il suo corpo si irrigidiva e la sua attività fisica si riduceva a quella di un vegetale.
Ma i rapporti di fratellanza erano così sviluppati nel club che non solo il comportamento di Morton veniva tranquillamente tollerato, ma qualcuno trovò anche un’efficace terapia. Morton era un grandioso giocatore di scacchi, cosa frequente tra gli hacker come la sindrome di Asperger, e stava lavorando a un programma per far giocare a scacchi il computer.
Quando piombava nel suo stato catatonico era sufficiente pronunciare la frase “Morton, che ne dici di una bella partita a scacchi?” e Morton meccanicamente si sedeva al tavolo e iniziava una silenziosa partita a scacchi che lo riportava finalmente sulla Terra.
È da qui, da questo posto che prese forma il motto del club e di molti libri successivi sulla programmazione informatica, “mettici le mani sopra” (in inglese “hands on”), per evidenziare l’importanza di procedere empiricamente, oltre che teoricamente, nello studio di una disciplina.
Ma tutto questo cosa c’entra con l’informatica e la cultura hacking?
La parola Hacker prese forma dalla fazione che si occupava di Signal and Power.
Infatti il plastico era governato inizialmente da un mainframe IBM 704, per poi passare al TIX-0 e successivi elaboratori quali il famoso PDP-1, dove presero forma il linguaggio LISP (dalla mente del mitico Prof. John McCarthy) oltre che il primo videogioco munito di gamepad collegato, creato da Steve Russel per il PDP-1, ovvero Spacewar!
Nel Tech Model Railroad Club non si giocava solo con i trenini. Si parlava anche di computer militari, o dei primi programmi per creare e diffondere musica. Qui nacque l’etica hacker, ovvero una sorta di “manifesto programmatico”, che avrebbe fatto una grande “presa” sull’humus libertario degli anni Sessanta.
Perché, ieri come oggi, l’hacking è esplorazione, manipolazione, comprendere le cose come sono fatte dentro per poi migliorarle, vederle sotto altre angolazioni, vedere oltre attraverso intuizione, genio e arte.
Quindi essere un Hacker non è riferito solo alla sicurezza informatica, ma può abbracciare tutte le discipline.
E allora, nel tuo lavoro, sei un hacker anche tu?
Articolo a cura di Massimiliano Brolli
Attualmente responsabile delle funzione di monitoraggio dei piani di sicurezza e delle attività di risk Assessment sui sistemi TIM e società partecipate, ha rivestito diversi incarichi manageriali in Telecom Italia e TIIT (Telecom italia information tecnology) spaziando da attività di governance e Audit di sicurezza ad attività di gestione applicativa di piattaforme centralizzate con un passato nello sviluppo del software in società come IBM, 3inet, Praxi e Bnl oltre a numerose attività di docenza svolte su ambiti come uml, object oriented e differenti framework e linguaggi di programmazione.