Intelligenza Artificiale e Diritto: implicazioni epistemologiche, etiche e normative nell’era della Giustizia Computazionale
L’intersezione tra intelligenza artificiale e diritto rappresenta oggi uno dei più fecondi e problematici ambiti di riflessione giuridica contemporanea. L’avvento di sistemi computazionali capaci di analizzare vasti corpus giurisprudenziali, predire esiti processuali e supportare processi decisionali sta ridisegnando i confini epistemologici della scienza giuridica, sollecitando una profonda riconsiderazione delle categorie fondamentali del pensiero legale.
Questa trasformazione paradigmatica non si limita a questioni di efficienza procedurale, ma investe la natura stessa del ragionamento giuridico, il ruolo dell’interpretazione, il significato dell’equità processuale e la garanzia dei diritti fondamentali. Il presente contributo si propone di esplorare criticamente le molteplici dimensioni – tecniche, normative, etiche e costituzionali – dell’incontro tra intelligenza artificiale e diritto, delineando le sfide e le opportunità che emergono dall’applicazione di tecnologie algoritmiche nei sistemi giuridici contemporanei.
Intelligenza Artificiale e Diritto: epistemologia dell’intelligenza artificiale nel paradigma giuridico
La concettualizzazione dell’intelligenza artificiale in ambito giuridico richiede una comprensione profonda delle sue implicazioni epistemologiche. Le definizioni presentate dalla Commissione Europea (2019), Russell e Norvig (2020), e dall’OCSE (2019) convergono nell’identificare l’IA come un sistema computazionale che opera sulla base di obiettivi predefiniti, ma presentano sfumature significative che meritano un’analisi più approfondita.
La definizione di Russell e Norvig è radicata nella tradizione dell’IA come studio di “agenti razionali” – un’impostazione che privilegia l’efficacia dell’azione rispetto alla simulazione del pensiero umano. Questa concezione, benché influente nel campo informatico, presenta criticità quando applicata al contesto giuridico, dove la razionalità non è meramente strumentale ma intrinsecamente normativa.
La caratterizzazione dell’OCSE, d’altro canto, enfatizza la capacità predittiva e decisionale dell’IA, elementi particolarmente rilevanti per le applicazioni giuridiche. Tuttavia, questa definizione operativa non problematizza sufficientemente la questione dell’autonomia e della responsabilità algoritmica, aspetti cruciali nell’interazione tra IA e sistemi giuridici.
Architettura cognitiva dei sistemi intelligenti: dalla correlazione statistica al ragionamento giuridico
L’analisi delle attuali implementazioni di IA in ambito giuridico rivela una predominanza di approcci statistico-probabilistici. Come correttamente evidenziato, i sistemi contemporanei operano essenzialmente come “macchine statistiche” che inferiscono modelli da dati storici. Questa caratterizzazione, supportata dalle osservazioni di Alpaydin (2020) e Domingos (2012), solleva interrogativi fondamentali sulla natura del ragionamento giuridico.
La distinzione formulata nel rapporto Eurofound (2018) tra correlazione statistica e comprensione semantica rappresenta un punto focale per valutare criticamente le potenzialità dell’IA giuridica. I sistemi attuali, infatti, non “comprendono” i principi giuridici nel senso ermeneutico del termine, ma identificano pattern correlazionali che possono replicare solo parzialmente il ragionamento giuridico umano.
Tale limitazione ontologica solleva questioni epistemologiche di primaria importanza: un sistema che opera esclusivamente per correlazione statistica può davvero “ragionare” in senso giuridico? La risposta a questa domanda richiede un’analisi approfondita della natura stessa del ragionamento legale e dei suoi fondamenti normativi.
Ermeneutica computazionale: limiti e potenzialità della formalizzazione del ragionamento legale
Il tentativo di formalizzare computazionalmente il ragionamento giuridico si scontra con la sua intrinseca complessità, efficacemente descritta da Bench-Capon e Sartor (2003) come “intrinsecamente aperto, soggetto a eccezioni e fondato su valori che possono essere in conflitto tra loro“. Questa caratterizzazione evidenzia le limitazioni intrinseche degli approcci puramente deduttivi o induttivi alla modellazione del ragionamento legale.
La tassonomia proposta da Rissland, Ashley e Loui (2003) – ragionamento basato su regole, su casi e su modelli – offre un framework analitico utile per comprendere i diversi tentativi di catturare la complessità del ragionamento giuridico. Tuttavia, occorre rilevare che ciascuno di questi approcci cattura solo parzialmente la ricchezza ermeneutica del ragionamento legale, che implica non solo l’applicazione di regole o l’analogia con precedenti, ma anche considerazioni teleologiche, assiologiche e sistematiche.
La Carta etica europea sull’utilizzo dell’IA nei sistemi giudiziari (2018) coglie questa problematica quando sottolinea la necessità di mantenere “l’autonomia degli utenti umani” nel processo decisionale. Tale principio riflette la consapevolezza che il ragionamento giuridico non è riducibile a operazioni algoritmiche, ma implica necessariamente una dimensione valutativa e interpretativa che, allo stato attuale della tecnologia, rimane prerogativa umana.
Governance algoritmica: il GDPR e la regolamentazione delle decisioni automatizzate
Il quadro normativo europeo sui processi decisionali automatizzati, cristallizzato nell’articolo 22 del GDPR, rappresenta un tentativo pioneristico di bilanciare innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali. L’analisi delle “Linee guida sul processo decisionale automatizzato e sulla profilazione” (Gruppo di Lavoro Articolo 29, 2018) evidenzia la distinzione cruciale tra profilazione e processo decisionale automatizzato – una distinzione che ha importanti implicazioni per la governance algoritmica in ambito giuridico.
Il contributo di Wachter, Mittelstadt e Floridi (2017) solleva interrogativi fondamentali sulla portata effettiva del “diritto di ottenere informazioni significative sulla logica utilizzata” nei processi decisionali automatizzati. La loro analisi evidenzia la tensione intrinseca tra trasparenza algoritmica e protezione della proprietà intellettuale, una tensione che il legislatore europeo ha tentato di risolvere attraverso un bilanciamento che, tuttavia, presenta ancora significative zone d’ombra.
Le precisazioni del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (2020) sulle eccezioni al divieto di decisioni completamente automatizzate riflettono un approccio regolatorio basato sul rischio: maggiore è l’impatto potenziale sui diritti dell’individuo, più stringenti sono le garanzie procedurali richieste. Questo paradigma regolatorio, che permea l’intero impianto del GDPR, rappresenta un modello potenzialmente esportabile ad altri ambiti di applicazione dell’IA giuridica.
Algorithmic public law: trasformazioni e sfide dell’automazione amministrativa
L’implementazione di procedure algoritmizzate nella pubblica amministrazione solleva questioni giuridiche che trascendono la mera efficienza operativa. Lo studio di Coglianese e Lehr (2017) identifica correttamente potenziali benefici in termini di riduzione dei costi, accelerazione dei tempi e limitazione della discrezionalità arbitraria, ma non problematizza adeguatamente le implicazioni per la legittimità democratica dell’azione amministrativa.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato italiano (sentenza n. 8472/2019) rappresenta un contributo significativo alla definizione dei requisiti di legittimità dell’automazione amministrativa, stabilendo il principio fondamentale della “conoscibilità” dell’algoritmo. Questo principio, che può essere interpretato come una specificazione del più generale canone di trasparenza amministrativa, implica non solo la divulgazione del codice sorgente, ma anche la sua traducibilità in termini comprensibili per i non specialisti.
Il Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale della Commissione Europea (2020) completa questo quadro normativo enfatizzando la necessità di “garanzie adeguate per i diritti fondamentali” e “meccanismi di supervisione umana“. Questi requisiti riflettono la consapevolezza che l’automazione amministrativa non può prescindere da una cornice di accountability democratica, che garantisca la contestabilità delle decisioni e la responsabilità degli attori istituzionali.
L’analisi di Veale e Brass (2019) aggiunge un ulteriore livello di complessità, identificando sfide specifiche legate all’implementazione di sistemi algoritmici nella pubblica amministrazione, tra cui problemi di accountability, bias algoritmici e difficoltà di adattamento al contesto pubblico. Queste criticità richiedono un approccio interdisciplinare che integri competenze giuridiche, informatiche e di policy design.
Deontologia algoritmica: principi etici per l’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari
La Carta Etica Europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari (CEPEJ, 2018) rappresenta una pietra miliare nella definizione di un framework etico per l’IA giudiziaria. I cinque principi fondamentali – rispetto dei diritti fondamentali, non discriminazione, qualità e sicurezza, trasparenza e imparzialità, controllo da parte dell’utente – costituiscono un tentativo organico di articolare i valori che dovrebbero guidare lo sviluppo e l’implementazione dell’IA in ambito giudiziario.
L’analisi di Mittelstadt e colleghi (2016) sulle implicazioni etiche degli algoritmi fornisce un importante complemento teorico a questi principi, evidenziando come i sistemi di IA possano perpetuare bias esistenti, operare come “scatole nere” inaccessibili allo scrutinio pubblico o sfidare nozioni tradizionali di responsabilità. Questa analisi mette in luce la necessità di un approccio proattivo alla governance etica dell’IA, che non si limiti a principi astratti ma sviluppi meccanismi concreti di implementazione e verifica.
Il principio di “human in the loop” (l’umano nel ciclo), enfatizzato dalla Carta, rappresenta una risposta alla preoccupazione che l’automazione possa erodere l’autonomia decisionale umana in contesti giuridici critici. Come evidenziato da Hildebrandt (2016), l’automazione dei processi decisionali giuridici richiede forme di supervisione umana che possano intervenire quando necessario – un principio che risuona con il concetto di “meaningful human control” sviluppato nell’ambito dell’etica dei sistemi autonomi.
Il rapporto dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA, 2020) aggiunge un’importante dimensione procedurale a questo framework etico, sottolineando la necessità di valutazioni d’impatto sui diritti fondamentali e meccanismi di monitoraggio continuo. Questo approccio procedurale alla governance etica dell’IA rappresenta un complemento necessario ai principi sostanziali, fornendo strumenti concreti per tradurre valori astratti in pratiche istituzionali.
Innovazione tecnologica nell’amministrazione della giustizia: potenzialità e rischi
L’integrazione di sistemi di intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari contemporanei rappresenta un fenomeno di complessa stratificazione epistemologica e istituzionale, le cui ramificazioni trascendono la mera implementazione tecnologica per investire i fondamenti stessi della funzione giurisdizionale. Lo studio pionieristico di Reiling (2009) “Technology for Justice: How Information Technology Can Support Judicial Reform” ha elaborato una tassonomia funzionale delle applicazioni tecnologiche in ambito giudiziario, distinguendo tra sistemi di supporto alla gestione procedurale, strumenti di analisi documentale e meccanismi di assistenza decisionale.
Tuttavia, questa categorizzazione, pur mantenendo una validità strutturale, necessita di una sostanziale rielaborazione alla luce della rapida evoluzione degli algoritmi di apprendimento profondo e delle architetture neurali artificiali che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.
Il quadro normativo europeo ha progressivamente elaborato un approccio distintivo alla regolamentazione dell’IA in ambito giudiziario. La risoluzione del Parlamento Europeo (2021) “Intelligenza artificiale: questioni relative all’interpretazione e applicazione del diritto internazionale” articola una concezione dell’innovazione tecnologica subordinata a un rigoroso scrutinio assiologico, identificando nel diritto a un processo equo (articolo 6 CEDU) il parametro fondamentale per valutare la legittimità dell’automazione giudiziaria.
Tale impostazione riflette la tradizione costituzionale europea, caratterizzata da una robusta tutela dei diritti procedurali e da una concezione della tecnologia come strumento al servizio di valori fondamentali preesistenti, piuttosto che come vettore di trasformazione valoriale.
In significativo contrasto con questa impostazione si colloca l’esperienza cinese, paradigmaticamente analizzata da Cui (2020) in “Artificial Intelligence and Judicial Modernization“. Lo studio delinea il programma di modernizzazione tecnologica dei tribunali cinesi come un processo integrato di reingegnerizzazione istituzionale, caratterizzato dall’implementazione sistematica di piattaforme digitali come “Xiao Fa” e “206 System”.
Queste tecnologie non si limitano a supportare i processi decisionali esistenti, ma ridefiniscono l’architettura procedurale stessa, automatizzando fasi significative dell’iter giudiziario e introducendo meccanismi di stratificazione dei casi basati su algoritmi predittivi. Cui documenta come questa trasformazione sia concettualizzata nel discorso istituzionale cinese non meramente in termini di efficienza operativa, ma come componente essenziale di un più ampio progetto di “modernizzazione socialista con caratteristiche cinesi“, dove l’innovazione tecnologica è intrinsecamente connessa a obiettivi di governance e legittimazione politica.
Stern et al. (2021), nel loro studio empiricamente fondato “Automating Fairness? Artificial Intelligence in the Chinese Court“, offrono un’analisi critica e metodologicamente sofisticata delle tensioni normative emergenti dall’automazione giudiziaria nel contesto cinese. Attraverso una combinazione di analisi quantitativa di decisioni giudiziarie e interviste qualitative con operatori del sistema, gli autori evidenziano come l’implementazione di sistemi di supporto decisionale algoritmico abbia prodotto una ricalibrazione del concetto stesso di equità procedurale.
La standardizzazione algoritmica delle decisioni, inizialmente concepita come strumento di riduzione delle disparità geografiche nell’applicazione della legge, ha generato nuove forme di disomogeneità applicativa, particolarmente evidenti nei casi atipici o normativamente complessi che sfuggono alle categorizzazioni predefinite. Gli autori documentano empiricamente l’emergere di strategie adattive da parte dei giudici, che sviluppano pratiche di “gestione algoritmica” per bilanciare le raccomandazioni automatizzate con considerazioni contestuali non formalizzabili computazionalmente.
Zhang, nel suo studio “The Application and Regulation of Artificial Intelligence Technology in Judicial Adjudication“, offre un’analisi sistematica del quadro regolatorio emergente per l’IA giudiziaria cinese. L’autore identifica una transizione da un approccio inizialmente caratterizzato da sperimentazione decentralizzata a un modello di governance algoritmica più strutturato, incarnato nelle “Opinions on Regulating the Application of Artificial Intelligence in the Judicial Field” emanate dalla Corte Suprema del Popolo nel 2019.
Zhang evidenzia come questo framework normativo tenti di bilanciare imperativi potenzialmente conflittuali: da un lato, la spinta verso l’innovazione tecnologica come vettore di efficienza e standardizzazione; dall’altro, preoccupazioni emergenti relative alla trasparenza algoritmica e all’autonomia decisionale dei giudici. Particolarmente significativa è l’analisi dell’articolo 12 delle Opinions, che stabilisce il principio di “supervisione umana con caratteristiche cinesi“, una formulazione che riflette un tentativo di adattare principi etici globalmente riconosciuti alle specificità istituzionali e culturali del sistema giuridico cinese.
Il confronto tra i modelli europeo e cinese di integrazione dell’IA nei sistemi giudiziari rivela divergenze significative non solo nelle soluzioni tecniche adottate, ma anche nelle concezioni sottostanti della funzione giudiziaria e della legittimità decisionale.
Il modello europeo, radicato nella tradizione liberale dello stato di diritto, privilegia la trasparenza algoritmica, la contestabilità delle decisioni e il mantenimento dell’autonomia valutativa del giudice come custode ultimo dei diritti individuali.
Il modello cinese, influenzato dalla tradizione amministrativa centralizzata e da una concezione sostanzialista della giustizia, enfatizza l’efficienza sistemica, la coerenza applicativa e l’integrazione dell’innovazione tecnologica in un più ampio progetto di modernizzazione istituzionale.
Il rapporto dell’OCSE (2021) “The Impact of Artificial Intelligence on the Resolution of Justice Claims” tenta di elaborare un framework analitico che trascenda queste specificità contestuali, identificando principi trasversali per l’adozione responsabile di sistemi di IA nei sistemi giudiziari. Il rapporto articola un modello di governance algoritmica basato su tre pilastri fondamentali: proporzionalità nell’implementazione (calibrando il grado di automazione in relazione all’impatto potenziale sui diritti), supervisione umana (garantendo meccanismi di revisione delle raccomandazioni algoritmiche) e trasparenza procedurale (assicurando che le parti possano comprendere e contestare il ruolo dell’IA nel processo decisionale).
Questa architettura normativa riflette un tentativo di elaborare un approccio globale all’innovazione tecnologica in ambito giudiziario che, pur riconoscendo le inevitabili variazioni contestuali, stabilisca parametri minimi di legittimità democratica per l’automazione di funzioni giurisdizionali.
Questa analisi comparativa evidenzia come l’innovazione tecnologica nei sistemi giudiziari non costituisca un processo meramente tecnico, ma rappresenti un vettore di trasformazione istituzionale profondamente radicato in concezioni culturali, tradizioni giuridiche e assetti costituzionali preesistenti. La sfida fondamentale per la governance dell’IA giudiziaria consiste precisamente nell’elaborare frameworks normativi che, pur riconoscendo queste specificità contestuali, garantiscano che l’automazione procedurale non comprometta valori fondativi della funzione giurisdizionale, quali l’indipendenza valutativa, l’equità processuale e la legittimità democratica delle decisioni.
Machine learning giudiziario: dall’analisi predittiva all’interpretazione giurisprudenziale
Gli studi di Katz e colleghi (2017) e Aletras e colleghi (2016) rappresentano contributi empirici significativi alla comprensione delle potenzialità predittive del machine learning applicato alle decisioni giudiziarie. Le loro ricerche dimostrano la possibilità di prevedere decisioni giudiziarie con un’accuratezza significativamente superiore al caso, suggerendo un potenziale applicativo concreto per sistemi di supporto decisionale basati su IA.
Tuttavia, come correttamente evidenziato da Surden (2014), questi approcci predittivi si basano su correlazioni statistiche piuttosto che su ragionamenti causali, e possono quindi mancare di comprensione delle nuance e dei principi sottostanti che informano le decisioni giudiziarie. Questa limitazione epistemologica solleva interrogativi fondamentali sull’appropriatezza dell’uso del machine learning per compiti che trascendono la previsione puramente statistica.
La CEPEJ (2018) coglie questa problematica quando avverte che l’applicazione del machine learning alle decisioni giudiziarie deve avvenire “con estrema cautela e con adeguate garanzie“, in particolare quando si tratta di decisioni con impatti significativi sui diritti e le libertà degli individui. Questo approccio prudenziale riflette la consapevolezza che, nonostante i progressi tecnologici, l’automazione completa del ragionamento giuridico rimane un obiettivo distante, se non epistemologicamente problematico.
Prospettive settoriali: intelligenza artificiale nella giustizia civile, commerciale e amministrativa
L’implementazione di sistemi di IA nei diversi settori della giustizia – civile, commerciale e amministrativa – presenta specificità che meritano un’analisi differenziata. Lo studio di Susskind (2019) identifica correttamente alcune delle applicazioni più promettenti in questi contesti, dalla risoluzione alternativa delle controversie online alla classificazione automatica dei casi fino alla previsione dei risultati delle controversie.
L’esperienza francese con il sistema Predictice, documentata da Cadiet (2018), offre un caso di studio concreto per valutare potenzialità e limiti dell’IA predittiva in ambito civile. L’obiettivo dichiarato di “migliorare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie” solleva interrogativi sul bilanciamento tra certezza del diritto e adattabilità a casi specifici – un bilanciamento che è al cuore stesso della tensione tra rule of law e giustizia individualizzata.
Il rapporto dell’OMPI (2020) evidenzia applicazioni emergenti dell’IA in ambito commerciale, particolarmente nel settore della proprietà intellettuale. Queste applicazioni, che spaziano dalla previsione dell’esito di controversie all’analisi automatizzata della validità dei brevetti, riflettono la crescente complessità tecnica di questo settore e la conseguente domanda di strumenti computazionali di supporto.
Le linee guida dell’Agenzia per l’Italia Digitale (2021) completano questa panoramica identificando applicazioni promettenti dell’IA nella giustizia amministrativa, dalla gestione documentale al supporto decisionale fino all’ottimizzazione dei flussi di lavoro. Queste applicazioni riflettono un approccio pragmatico all’innovazione tecnologica, che privilegia l’automazione di compiti routinari e ad alta intensità di dati, preservando l’autonomia decisionale umana per questioni complesse o ad alto impatto.
Giustizia penale computazionale: algoritmi predittivi tra prevenzione e garanzie individuali
L’applicazione dell’IA nel sistema di giustizia penale presenta criticità particolarmente acute, dato l’impatto potenziale sui diritti fondamentali degli individui. Il rapporto del Consiglio d’Europa “Algorithms and Human Rights” (2018) evidenzia correttamente come questi sistemi possano influenzare significativamente diritti come la libertà, la presunzione di innocenza e la non discriminazione.
L’analisi critica del sistema COMPAS condotta da Angwin e colleghi (2016) rappresenta un caso emblematico delle problematiche etiche associate all’uso di algoritmi predittivi in ambito penale. La loro ricerca, che ha evidenziato tassi di falsi positivi significativamente più alti per imputati neri rispetto a imputati bianchi, ha sollevato un dibattito fondamentale sulla potenziale perpetuazione algoritmica di bias sociali preesistenti.
Il parere del Garante Europeo della Protezione dei Dati (2021) sull’Artificial Intelligence Act riflette questa preoccupazione, sottolineando la necessità di “garanzie particolarmente rigorose” per l’uso dell’IA nella giustizia penale. Queste garanzie, che includono valutazioni d’impatto sui diritti fondamentali, meccanismi di supervisione umana e possibilità di contestare le decisioni algoritmiche, rappresentano un tentativo di mitigare i rischi specifici associati all’automazione in questo contesto.
La classificazione dei sistemi di IA utilizzati nella giustizia penale come “sistemi ad alto rischio” nella proposta di Regolamento sull’Intelligenza Artificiale della Commissione Europea (2021) conferma questa impostazione basata sul rischio. Tale classificazione, che comporta requisiti rigorosi in termini di trasparenza, robustezza e supervisione umana, riflette la consapevolezza dei potenziali rischi associati all’automazione dei processi decisionali in un contesto dove le conseguenze per i diritti individuali possono essere particolarmente severe.
Giustizia predittiva: criticità epistemologiche e implicazioni costituzionali
Il concetto di “giustizia predittiva” solleva interrogativi fondamentali sulla natura stessa della giustizia e sul ruolo del giudice, come efficacemente evidenziato da Garapon e Lassègue (2018) nel loro influente volume “Justice Digitale“. Gli autori sviluppano un’analisi critica della promessa, intrinseca ai sistemi predittivi, di “aumentare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie” e di “ridurre le disparità geografiche nell’applicazione della legge“.
Questa duplice promessa, apparentemente in linea con i valori fondamentali della certezza del diritto e dell’uguaglianza davanti alla legge, merita di essere problematizzata alla luce di ciò che Garapon e Lassègue identificano come il “rischio di determinismo giuridico” – ovvero la riduzione della complessità ermeneutica del diritto a un insieme di correlazioni statistiche derivate dall’analisi di decisioni passate.
Hildebrandt (2018), nel suo penetrante saggio “Law as computation in the era of artificial legal intelligence“, approfondisce questa critica epistemologica, distinguendo tra “computabilità” e “giuridicità“. L’autrice argomenta che il diritto, in quanto pratica sociale intrinsecamente interpretativa, contiene elementi non riducibili a rappresentazioni computazionali, come l’indeterminatezza semantica e la contestualità delle norme.
La giustizia predittiva, basandosi su modelli statistici che necessariamente astraggono dalle specificità contestuali, rischia di ridurre il ragionamento giuridico a quello che Hildebrandt definisce un “formalismo di secondo ordine” – una simulazione algoritmica che imita la forma, ma non la sostanza, del ragionamento giuridico autentico.
Questa critica trova un’articolazione empiricamente fondata nel lavoro di Contini e Lanzara (2020), “The elusive mediation between law and technology“. Gli autori, analizzando l’implementazione di sistemi predittivi in diversi contesti giurisdizionali europei, documentano l’emergere di ciò che definiscono “dissonanze cognitive” tra il modello computazionale del ragionamento giuridico incorporato negli algoritmi predittivi e le pratiche interpretative effettive dei giudici.
Particolarmente significativo è il loro studio del sistema Predictice in Francia, dove hanno rilevato come l’interfaccia algoritmica, presentando statistiche aggregate su decisioni passate, tenda a oscurare le specificità fattuali e normative dei singoli casi, potenzialmente inducendo una forma di “pregiudizio di conferma” nei giudici che consultano il sistema.
La Corte di Cassazione francese, nella sentenza n. 643 del 2020, ha contribuito significativamente a delineare i confini giuridici della giustizia predittiva, stabilendo un principio fondamentale: “l’utilizzo di algoritmi predittivi non può sostituire la valutazione individuale del giudice“. Questa pronuncia, che riflette le preoccupazioni teoriche articolate dagli studiosi, introduce un ulteriore principio procedurale di notevole importanza: “le parti hanno diritto a conoscere se e in quale misura strumenti di giustizia predittiva sono stati utilizzati nel processo decisionale”.
Tale principio di trasparenza algoritmica rappresenta una traduzione giuridica della più ampia questione epistemologica relativa alla black box algoritmica, identificata da Hildebrandt come uno degli ostacoli fondamentali alla legittimità democratica dei sistemi di giustizia predittiva.
Quattrocolo (2020), nel suo studio “Artificial Intelligence, Computational Modelling and Criminal Proceedings“, estende questa analisi all’ambito penale, evidenziando le particolari criticità dell’applicazione di sistemi predittivi in un contesto dove sono in gioco diritti fondamentali dell’individuo. L’autrice identifica una tensione potenzialmente irrisolvibile tra il principio di individualizzazione della pena, radicato nella tradizione giuridica continentale, e la logica intrinsecamente generalizzante degli algoritmi predittivi, che operano attraverso categorizzazioni probabilistiche derivate dall’analisi di popolazioni statistiche.
Questa tensione è particolarmente evidente nell’analisi che Quattrocolo conduce del sistema COMPAS utilizzato in alcune giurisdizioni statunitensi, dove l’applicazione di logiche attuariali alla valutazione del rischio di recidiva ha sollevato significative questioni di equità algoritmica e di rispetto delle garanzie processuali individuali.
La questione della legittimità costituzionale della giustizia predittiva è stata affrontata in modo particolarmente incisivo da Simoncini (2019) nel suo saggio “L‘algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà“. L’autore articola una critica della giustizia predittiva radicata nei principi fondamentali del costituzionalismo contemporaneo, in particolare nel principio della riserva di giurisdizione come garanzia contro l’arbitrio.
Simoncini argomenta che la delega di funzioni decisionali a sistemi algoritmici, in assenza di adeguati meccanismi di trasparenza e accountability, rischia di erodere quello che definisce il “nucleo incomprimibile” della funzione giurisdizionale: la motivazione delle decisioni come pratica discorsiva che rende la sentenza non solo il prodotto di un’autorità formale, ma anche il risultato di un processo di giustificazione razionale accessibile all’intera comunità giuridica.
Un contributo significativo all’analisi delle implicazioni costituzionali della giustizia predittiva proviene da Bayamlıoğlu e Leenes (2018) nel loro articolo “The ‘Rule of Law’ Implications of Data-Driven Decision-Making: A Techno-Regulatory Perspective”. Gli autori analizzano come l’automazione algoritmica nelle decisioni giuridiche possa sfidare principi fondamentali dello stato di diritto, tra cui la trasparenza delle norme, la prevedibilità della loro applicazione e la responsabilità dei decisori.
Propongono un approccio “tecno-regolatorio” che integri considerazioni normative direttamente nella progettazione dei sistemi di giustizia predittiva, attraverso quello che definiscono “constitutional-by-design” – un principio secondo cui i vincoli costituzionali dovrebbero informare l’architettura stessa dei sistemi algoritmici piuttosto che essere imposti ex post.
Particolarmente rilevante in questa prospettiva costituzionale è l’analisi di Casonato (2020) in “Costituzione e intelligenza artificiale: un’agenda per il prossimo futuro“. L’autore identifica nella giustizia predittiva un caso paradigmatico di quella che definisce la “quarta generazione” di diritti costituzionali: diritti emergenti dall’interazione tra tecnologie digitali e principi costituzionali preesistenti, che richiedono non tanto l’elaborazione di nuove categorie giuridiche, quanto una reinterpretazione evolutiva di diritti già riconosciuti.
Applicando questa prospettiva alla giustizia predittiva, Casonato individua nel diritto alla “spiegabilità algoritmica” – il diritto di comprendere la logica sottostante a una decisione influenzata da algoritmi – un’evoluzione del più tradizionale diritto alla motivazione delle decisioni giudiziarie, già riconosciuto in molte costituzioni europee come componente essenziale del giusto processo.
Questa lettura costituzionalmente orientata della giustizia predittiva trova una significativa conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato italiano che, nella sentenza n. 8472/2019, pur riferendosi all’ambito amministrativo piuttosto che giudiziario, ha stabilito principi potenzialmente estensibili ai sistemi di giustizia predittiva. In particolare, il principio secondo cui “il software o l’algoritmo deve essere conoscibile in tutti i suoi aspetti” e che “deve essere garantita la piena conoscibilità della regola, espressa in un linguaggio differente da quello giuridico” stabilisce un parametro di trasparenza algoritmica che rappresenta una precondizione necessaria, sebbene non sufficiente, per la legittimità costituzionale di qualsiasi forma di automazione decisionale in ambito giuridico.
L’analisi delle criticità epistemologiche e delle implicazioni costituzionali della giustizia predittiva rivela dunque una tensione fondamentale tra le potenzialità dell’automazione algoritmica in termini di efficienza, coerenza e prevedibilità, e i principi fondativi della funzione giurisdizionale in uno Stato di diritto: autonomia valutativa, individualizzazione delle decisioni, e responsabilità discorsiva attraverso la motivazione.
La sfida per la regolamentazione della giustizia predittiva consiste precisamente nell’elaborare frameworks normativi che consentano di realizzare i potenziali benefici dell’analisi algoritmica mantenendo al contempo salde le garanzie costituzionali che legittimano l’esercizio del potere giudiziario nelle democrazie contemporanee.
Verso una costituzionalizzazione dell’intelligenza artificiale: diritti fondamentali nell’era algoritmica
La creazione di un quadro etico solido per l’uso dell’IA in ambito giuridico rappresenta una sfida interdisciplinare che richiede l’integrazione di competenze giuridiche, informatiche, filosofiche e di policy design. Le “Ethics Guidelines for Trustworthy AI” del Gruppo di Esperti ad Alto Livello sull’IA della Commissione Europea (2019) offrono un punto di partenza significativo, identificando tre componenti essenziali di un’IA affidabile: legalità, eticità e robustezza.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2000) fornisce un quadro normativo di riferimento per ancorare lo sviluppo dell’IA giuridica a principi fondamentali come la dignità umana, la non discriminazione, il diritto a un processo equo e la protezione dei dati personali. Questi principi, che riflettono valori costituzionali condivisi a livello europeo, offrono parametri valutativi per guidare lo sviluppo e l’implementazione dell’IA in contesti giuridici.
La “Recommendation on the Ethics of Artificial Intelligence” dell’UNESCO (2021) aggiunge una dimensione culturale e inclusiva a questo framework, sottolineando l’importanza di garantire che i sistemi di IA rispettino la diversità culturale e non perpetuino pregiudizi o discriminazioni esistenti. Questa prospettiva interculturale è particolarmente rilevante per sistemi giuridici che operano in contesti multiculturali o transnazionali.
La proposta del Parlamento Europeo di istituire un “quadro normativo per gli aspetti etici dell’IA” (2020) rappresenta un tentativo di tradurre principi etici in strumenti giuridicamente vincolanti. L’inclusione di “meccanismi di controllo, supervisione e rimedio” riflette la consapevolezza che principi astratti, per quanto importanti, necessitano di strumenti concreti di implementazione e verifica per essere effettivi.
Questi sforzi normativi e istituzionali convergono verso un framework etico-giuridico integrato che ponga i diritti fondamentali al centro del progresso tecnologico, garantendo che l’innovazione nel campo dell’IA serva a migliorare, piuttosto che compromettere, l’accessibilità, l’equità e l’efficacia dei sistemi giuridici. Tale framework, per essere veramente efficace, dovrà evolvere in parallelo con gli avanzamenti tecnologici, in un processo iterativo di valutazione critica e adattamento normativo.
Riflessioni finali su Intelligenza Artificiale e Diritto
L’analisi di intelligenza artificiale e diritto rivela un campo in rapida evoluzione, caratterizzato da potenzialità trasformative ma anche da sfide significative sul piano epistemologico, etico e giuridico. La tensione tra innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali richiede un approccio equilibrato, che riconosca i potenziali benefici dell’IA giuridica senza sottovalutarne i rischi.
I principi di trasparenza algoritmica, supervisione umana, contestabilità delle decisioni e responsabilità degli attori istituzionali emergono come pilastri fondamentali per una governance etica dell’IA in ambito giuridico. Questi principi, che trovano espressione in diverse iniziative normative e istituzionali a livello europeo, riflettono la consapevolezza che l’automazione dei processi decisionali giuridici deve avvenire all’interno di un quadro di salvaguardie procedurali e sostanziali.
La sfida futura consisterà nel tradurre questi principi in pratiche istituzionali concrete, che bilancino efficacemente l’innovazione tecnologica con la tutela dei diritti fondamentali. Tale bilanciamento richiederà un approccio interdisciplinare e collaborativo, che coinvolga giuristi, informatici, filosofi, policy makers e società civile in un dialogo continuo sui valori che dovrebbero guidare lo sviluppo e l’implementazione dell’IA nei sistemi giuridici del XXI secolo.
Fonti:
- Commissione Europea (2019). “Ethics Guidelines for Trustworthy AI.”
- Commissione Europea (2020). “Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale – Un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia.”
- Commissione Europea (2021). “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale.”
- Parlamento Europeo (2020). “Framework of ethical aspects of artificial intelligence, robotics and related technologies.”
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