Bitcoin, Blockchain e il ginepraio delle fonti (in)attendibili
Se c’è una cosa difficile da fare in un contesto informativo che brulica di opinioni e documenti ufficiali, è rimettere ordine e stabilire, nella gerarchia delle fonti, quali di esse possano essere considerate attendibili e quali invece non possano essere connotate come tali.
Questo assunto non può non essere valido anche – e soprattutto – rispetto a un argomento innovativo e rivoluzionario che solo in parte sembra mettere tutti d’accordo, come quello che riguarda bitcoin e la classe di protocolli Blockchain.
Guardando alla dimensione giuridica interna e d’oltralpe si evince un’esposizione concettuale piuttosto variegata, dove il fenomeno viene dipinto con contorni talvolta vaghi e altre volte fin troppo definiti.
La stessa semantica utilizzata per trattare la questione appare piuttosto variopinta: si parla di Distributed Ledger Technology (DLT) invece di Blockchain e di criptoasset piuttosto che bitcoin, quasi fossero sinonimi. Eppure, non ogni DLT è una Blockchain e non ogni criptoasset è un bitcoin. Se i gelati e i semifreddi fossero la stessa cosa, non avremmo bisogno di due termini diversi per distinguerli. La terminologia conta!
La disamina del contesto europeo, inoltre, registra alcune prese di posizione della BCE, condivise da altri Paesi nel mondo, secondo le quali bitcoin è pericoloso e andrebbe trattato come un virus da incubare e tenere sotto controllo, al contrario della Blockchain che invece è considerata portatrice sana di importanti utilità.
Ne deriva che fuorvianti convinzioni collettive indicano bitcoin e Blockchain come due entità perfettamente separabili. Ma è davvero così? No. Non esiste bitcoin senza Blockchain, e viceversa. Al massimo, quel che tecnicamente si può fare è rendere la criptovaluta trascurabile rispetto alla considerazione generale del registro distribuito.
Eppure, questo stile dicotomico risulta assai diffuso. In più – e cosa ancora più grave – Francoforte, Londra, Washington, Pechino, Emirati Arabi, Italia e molti altri governi identificano la criptovaluta più famosa al mondo come la più grande minaccia per la politica monetaria e finanziaria di tutti i tempi. Nel tempo si è evinto che l’impossibilità di gestire questo sistema genera più panico di quanto non sia stato ufficialmente dichiarato dai governi. Ma questo equivale (quasi) a dire che tutto ciò che non è governabile è nocivo e privo di senso.
Altra convinzione interessante: bitcoin è pericoloso, perché è anonimo! Quanto è grave questa affermazione agli occhi di chi studia, approfondisce, conosce ed è in grado di sostenere degnamente l’argomento? Molto. Eppure fioccano testi, articoli, documenti ufficiali, governativi e non, dove si asserisce che bitcoin è anonimo.
A scanso di equivoci, è doveroso precisare che bitcoin è pseudonimo e che tutte le transazioni che vengono validate e iscritte all’interno della Blockchain vi rimangono in eterno e sono perfettamente trasparenti. Ad oggi, risulta impossibile manometterle, falsificarle o celarne la presenza. Chiunque opera in bitcoin, pertanto, lascia una perpetua traccia di sé all’interno del libro mastro. Altro che anonimato!
Altra chicca, criptovalute come se piovesse!: se si potesse dare un titolo ad alcune (ritenute) super notizie del momento potremmo usare questo. La Libra di Facebook, ad esempio, in questo scenario è solo uno dei tanti fenomeni emulativi di bitcoin considerati geniali e degni di nota. Ci sono stati innumerevoli aperture di testate giornalistiche a menzionarla, connotandola come la nuova crittovaluta globale.
Ma la domanda è: Libra è davvero una criptovaluta?
Tradizionalmente le criptovalute sono strumenti monetari supportati dalla crittografia, indipendenti, decentralizzati, privi di alcuna terza parte fiduciaria, incontrollabili, resistenti ad attacchi esterni, utilizzabili da tutti, ovunque, h24, senza nessuna limitazione governativa o regolatoria.
Libra corrisponde a questa descrizione? No. Sebbene venga descritta come asset digitale similare, non ha nessuna di queste caratteristiche. Si tratta di un progetto che sintetizza una moneta regolamentata, supportata sì dalla crittografia, ma censurabile e perfettamente controllabile come qualsiasi altro strumento di pagamento digitale ufficialmente riconosciuto, come Visa, PayPal, etc.. Libra è, dunque, l’opposto di una criptovaluta, oppure potremmo considerarla tale a patto da considerare anche una comune carta di credito una criptovaluta. Eppure, quasi nessuna delle fonti che ha citato Libra ne ha parlato come un progetto di un asset digitale che ricalca pienamente il modello delle valute di Stato tradizionali regolamentate.
Qual’è la convinzione sottesa a questo taglio demonizzante della maggior parte delle opinioni?
Il riciclaggio di denaro e la sovvenzione ai gruppi terroristici che bitcoin renderebbe possibili. Perchè il tema della sicurezza mette tutti d’accordo e tutto ciò che la minaccia fa audience. Questa è la risposta più comune!
E non v’è dubbio che, in linea teorica, il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo siano fenomeni certamente realizzabili con l’ausilio di criptovalute, ma quel che viene trascurato è il fatto che non vi sono prove in tal senso. E, anzi, quel che preoccupa di più è che vi sono prove per l’esatto contrario. Facciamo parlare le fonti, quelle utili.
Il report ufficiale dell’Europol di quest’anno, “European Union Terrorism Situation and Trend Report 2019”, identifica nel sistema Hawala il più importante strumento di finanziamento del terrorismo. Hawala: antico come il diritto romano, lontano dalle fattezze da conio moderno, è uno strumento di cambio di transazioni tra broker basato sull’onore che non richiede un necessario riconoscimento giuridico per funzionare. I fondi entrano nel sistema nella forma della valuta del Paese d’origine ed escono dallo stesso nella forma della valuta del Paese destinatario, e in entrambe le circostanze si ha a che fare con monete aventi corso legale negli stati di riferimento, non con criptovalute. Nello stesso documento il riferimento a bitcoin viene fatto in via del tutto presuntiva, senza alcuna attribuzione di certezza in merito all’utilizzo di questa, o altre monete crittografate, per la raccolta di fondi online.
Da qui, si apre uno spunto riflessivo notevole volto a voler inquadrare con esattezza e precisione un fenomeno mondiale che ha cambiato le vesti finanziarie delle nostre generazioni e che impone un cambiamento culturale che non richiede un grande sforzo, al contrario di ciò che si pensa, perché connaturato nella natura evolutiva dell’uomo.
In conclusione, bisogna badare bene al contenuto di ciò che si legge sull’argomento e ascoltare in totale condizione d’apertura tutte le voci interessate al tema, imparando ad isolare quei pochissimi, rari e preziosi autori di notizie fondate, reali e concettualmente corrette, che stanno facendo un lavoro monumentale per portare bitcoin nella mente e nel cuore di chi ha voglia di conoscerlo davvero.
Infine, senza una profonda conoscenza tecnologica, il giurista rischia di impaludarsi in ragionamenti costruiti sulla sabbia.
Suggerimenti bibliografici
Pagano M., Blockchain cyberwar e strumenti di Intelligence, Stampa Alternativa, ottobre 2017
Capaccioli S., Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, Giuffrè Editore, 2015
https://www.europol.europa.eu/activities-services/main-reports/terrorism-situation-and-trend-report-2019-te-sat
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/09/28/blockchain-con-cognizione/
Articolo a cura di Marilù Pagano
Nata a Giarre il 22 Maggio del 1980, Marilù Pagano ha conseguito la Maturità classica ed ha proseguito gli studi in Giurisprudenza presso l’Università di Catania. Tesista in Diritto Internazionale Umanitario ha sviluppato interesse per le missioni militari aeree e i problemi di sicurezza ad esse correlate.
Attualmente, è copywriter e appassionata di informatica e diritto delle nuove tecnologie. Da Marzo 2016 è entrata a far parte del BEN Italia, acronimo di Blockchain Education Network, e l’anno successivo ne è diventata Rappresentante per la Regione Sicilia.